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giovedì 28 gennaio 2010

Diabolik



All’età di undici anni fui ricoverato in clinica per sottopormi ad un intervento di tonsillectomia. Avrei dovuto trascorrere due o tre giorni in quella stanza bianca e spoglia, per fortuna illuminata dal caldo sole della primavera siciliana.
Alcune ore dopo il mio risveglio successivo all’operazione, sofferente per il dolore alla gola e per la noia, ricevetti dalla mamma due graditi omaggi consolatori: una granita alla mandorla e alcuni volumi di un fumetto dal titolo inquietante: Diabolik.

Appena un anno prima il tascabile con le storie del fuorilegge in calzamaglia nera aveva già fatto capolino nella mia piccola libreria dove fino ad allora si poteva trovare solo “ Topolino “ quando un giorno mia madre, che insegnava in un Istituto Magistrale, ne portò a casa un paio di numeri che aveva sequestrato ad uno studente poco interessato al suo vaticinio. Mi bastò sfogliare poche pagine per rendermi conto che quella snella figura maschile che si confondeva con la tenebra notturna esercitava su di me un fascino particolare. Mi piacevano gli eroi mascherati: Paperinik, Zorro, Batman, Fantomas. Non mi importava sapere se fossero buoni o cattivi, ero attratto dal mistero.

Quando cessò definitivamente il mio rapporto con la Disney Italia andai in cerca di nuove collaborazioni. Contattai Mario Gomboli, sceneggiatore storico della serie creata dalle sorelle Giussani e loro erede editoriale, per proporgli alcune prove di inchiostrazione e disegno. La prima piacque molto, un po’ meno il secondo anche perché, provenendo dal fumetto umoristico, avevo difficoltà a adattarmi a quel realismo quasi fotografico definito dal grande Sergio Zaniboni. Tuttavia non vi era spazio né per il primo né per il secondo ruolo. C’era però una terza possibilità : la scrittura. Le idee o i soggetti per le storie, i trucchi per le fughe, i “colpi “ ( intesi come furti ). I primi esperimenti non riscossero grande successo; difficile anche per me che quasi conoscevo la “ diabolika “opera omnia, trovare delle idee originali. A questo si aggiunge il fatto che Mario, ancorché gentile e disponibile, è un professionista ultra impegnato e ha poco tempo da dedicare alle letture delle nuove proposte. Un giorno incominciai a scarabocchiare uno storyboard con Diabolik ed Eva Kant protagonisti. Quando disegno le idee mi vengono più chiare e quella sequenza che avevo creato mi parve un’idea vincente. Chiamai Mario e gli dissi solo: “ devo farti vedere una cosa che secondo me ti piacerà “. Probabilmente il mio entusiasmo era tale che riuscii a incuriosirlo. Ci incontrammo il giorno dopo a pranzo, gli mostrai lo storyboard e… gli piacque. Ne nacque una storia che fu pubblicata nel Luglio 2004 firmata da me e lo stesso Gomboli ; la sceneggiatura fu affidata a Patricia Martinelli e disegni ad Enzo Facciolo. Confesso che la mia trama originale fu in buona parte riscritta da Gomboli che la semplificò adeguandola a quelli che riteneva fossero degli stilemi più consoni alle storie di Diabolik ma la sequenza che si svolge da pag. 15 a pag. 20 è pura farina del mio sacco. La fedele riproduzione di quello storyboard che mi ha permesso di entrare nella storia del terzo periodico a fumetti più longevo d’Italia.
Vi lascio con un mio disegno dedicato al criminale dai mille volti, sormontato ( per esigenze di layout ) dalla copertina di quel numero intitolato “ L’altra donna “.

giovedì 14 gennaio 2010

Me, mom & Dead


Vi avevo promesso un'anticipazione del mio progetto. Questo è lo studio per una pin-up. Il titolo lo avete appena letto... tanto per suggerirvi l'ambientazione e l'atmosfera di questa strip. Altre immagini arriveranno molto presto.
Stay tuned

Come sono finito qui?

A volte mi chiedo: come sono finito qui? E’ stata una mia scelta accuratamente ponderata, un piano meticolosamente studiato oppure si è creata soltanto una serie di fatalità che mi ha fatto sfiorare la conquista di un obiettivo a lungo desiderato per poi sottrarmelo proprio nel momento in cui avrei potuto offrire il mio piccolo contributo alla narrativa a fumetti?
L’arte del disegno l’ho appresa da autodidatta. E’ una delle poche che permetta di creare opere ambiziose, direttamente proporzionali al talento individuale, pur disponendo di una strumentazione poco costosa. Bastano un foglio di carta e una matita; o una penna.
E’ un’arte povera e silenziosa ma come tutte le arti richiede studio e applicazione; e soprattutto confronto.
Mi sarebbe piaciuto recitare come Al Pacino e suonare il sax come John Coltrane o Dave Brubeck. Quando disposi di mezzi sufficienti per frequentare una seria scuola di teatro avevo già superato i limiti d’età. Idem per la musica.
Il disegno invece mi ha tenuto compagnia fin da giorni talmente lontani nei miei ricordi che sarebbero caduti nel più tenebroso oblio se non fossero stati fotografati nella mia memoria di bambino proprio grazie a quei tratti di biro con i quali tentavo di realizzare dei proto-fumetti ad imitazione di quelli che leggevo su “ Topolino “. Strano a dirsi ma quell’infantile imitazione sarebbe proseguita negli anni fino a materializzarsi sulle pagine colorate del medesimo settimanale e di altri periodici all’interno dei quali recitavano i personaggi tanto amati in tenera età.
Proprio allora mi resi conto che l’infanzia era terminata da un pezzo. E che il sogno dorato si stava lentamente trasformando in una realtà un po’ meno pregiata.

Coming Soon: My life in the ’90 episode 1